La scuola in pandemia: tutto ciò che si nasconde.

È uno dei pilastri della società, primadonna nell’essere sottovalutata da sempre e sulla quale tutti ritengono di poter dire la propria. Ma cosa si nasconde veramente dietro questo gap di didattica in presenza che oggi dilania studenti, genitori, sindacati, uffici scolastici, dipartimenti e ministeri, docenti, dirigenti e anche chi non c’entra proprio niente? Solo 2 cose: incompetenza e ipocrisia. La scuola nella sua attuale strutturazione (dalla materna all’università), quella alla quale l’hanno portata secoli di trascuratezza e discredito, è del tutto inadeguata ai tempi che si vivono e, questo, a prescindere dalla pandemia. I bambini, gli adolescenti, i ragazzi, i giovani necessiterebbero e meriterebbero un’organizzazione più degna ed adeguata a tutto quello che la comunicazione ha stravolto e rigettato. Quando noi eravamo bambini, le nostre maestre ci dicevano che nel 2000 avremo viaggiato con navicelle spaziali da un pianeta all’altro e questa profezia si è tradotta in quest’incredibile capacità di comunicare da una parte all’altra opposta del mondo in un secondo. E non solo con dei testi o messaggi, ma anche con la nostra immagine in movimento. Cose che solo qualche anno fa qualcuno avrebbe definito diavolerie vere e proprie. E, invece, è la pura e semplice realtà che viene però apprezzata quando conviene, dimenticata quando non conviene. Non è un segreto l’esistenza delle università telematiche già da anni e il loro acclarato e conclamato funzionamento, soprattutto nel superamento di difficoltà oggettive degli studenti piuttosto che dei docenti, sebbene a suon di soldoni. Oggi, invece e ancora, si invoca a tutti i costi un rapporto in presenza, pena la valenza educativa che però svanisce di fronte al pericolo dell’emergenza epidemiologica ed è, per di più, garantito da altri momenti e luoghi di frequentazione almeno per alcune fasce d’età. Si invoca, dimenticando che non basta la pausa natalizia per risolvere problemi atavici e strutturali dei territori. Non a caso, quasi unicamente, la Regione Toscana riapre le porte di tutte le scuole, ma perché forte di un sistema di trasporti tra i più portentosi e che ha messo a disposizione del pubblico anche i pullman turistici privati, come se tutto il resto non bastasse! Ci vorrebbe unicamente l’intelligenza di capire che, soprattutto in pandemia, il futuro è in tutto quello che la digitalizzazione ci può offrire, potenziandola e migliorandola, ma sicuramente smettendola di strumentalizzare temi sui quali, oggi, nemmeno la Montessori si pronuncerebbe. Ma, soprattutto, l’umiltà di ammettere che la scuola non è il rifugium peccatorum di tutto ciò che tutto il resto (dalla famiglia, alle amministrazioni e al lavoro) non riesce a gestire e ad educare. È troppo tardi per fare proclami sortileggianti che mirano a risolvere formazione e competenze trascurate, è troppo tardi per affidare alle macchinine a scontro la sicurezza nelle aule quando si è permesso ai soffitti di crollare, è troppo tardi per rendersi conto del valore immenso di un rapporto d’amore per troppi anni sottopagato. Qualcosa di immenso è sfuggito dalle mani di chi aveva la governance nel tempo e non è recuperabile da chi si improvvisa in pandemia senza accettare e condividere le sfide dell’innovazione. Quella si, globale. È tempo, invece, di avere il coraggio della responsabilità per costruire tutti insieme una scuola vera al passo con i tempi e non solo della pandemia, ma del mondo che è cambiato e non ritorna più indietro.

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